La Liguria, terra di mare e di monti, è anche culla di una delle specialità più amate e, purtroppo, spesso fraintese della gastronomia italiana: la focaccia genovese. Questo capolavoro di semplicità e gusto, che rappresenta l’anima stessa della cucina ligure, viene troppo spesso confuso dai turisti con la “pizza bianca”. Un errore che fa storcere il naso ai genovesi doc e che merita di essere corretto una volta per tutte.
La focaccia genovese, o “fugassa” in dialetto locale, è molto più di un semplice prodotto da forno. È una tradizione secolare, un simbolo di identità culturale, un rito quotidiano per i liguri. Alta circa un centimetro, croccante fuori e morbida dentro, con la sua caratteristica superficie punteggiata di fossette piene d’olio, la focaccia è un’esperienza sensoriale unica che non ha nulla a che vedere con la pizza, bianca o rossa che sia.
Le origini della focaccia genovese si perdono nel tempo. Alcune fonti la fanno risalire addirittura all’antica Roma, dove si produceva un pane piatto chiamato “panis focacius”, cotto direttamente sulla pietra del focolare. Nel corso dei secoli, questa preparazione si è evoluta fino a diventare la prelibatezza che conosciamo oggi.
La ricetta tradizionale prevede ingredienti semplici ma di alta qualità: farina, acqua, lievito, olio extravergine d’oliva (rigorosamente ligure), sale e un pizzico di malto. La vera magia sta nel processo di lavorazione e cottura. L’impasto viene lasciato lievitare a lungo, poi steso in teglie unte d’olio e “picchiettato” con le dita per creare le caratteristiche fossette. Prima della cottura, la superficie viene spennellata con una salamoia di acqua e sale, che conferisce alla focaccia la sua inconfondibile croccantezza.
Il risultato è un prodotto che non ha nulla da invidiare alle preparazioni più elaborate. La focaccia genovese è buona in ogni momento della giornata: a colazione, inzuppata nel cappuccino (usanza che può sembrare strana ai non liguri ma che è quasi sacra per i genovesi); come spuntino a metà mattina; come alternativa al pane durante i pasti; o come merenda pomeridiana.
Ma perché i turisti la confondono con la pizza bianca? Probabilmente per la forma rettangolare e l’aspetto apparentemente simile. Tuttavia, le differenze sono sostanziali. La pizza bianca romana, ad esempio, è più sottile e croccante, spesso condita con rosmarino o altri aromi. La focaccia genovese, invece, ha una consistenza più soffice e un sapore distintivo dato dall’olio ligure e dalla salamoia.
Inoltre, mentre la pizza (bianca o rossa) nasce come piatto unico, la focaccia genovese è concepita come accompagnamento o snack. Non a caso, a Genova è comune vedere persone che camminano per strada mangiando un pezzo di focaccia avvolto nella caratteristica carta oleata.
Per i genovesi, sentir chiamare la loro focaccia “pizza bianca” è quasi un affronto. È come confondere un risotto alla milanese con un piatto di riso al burro. La focaccia è parte integrante della cultura gastronomica ligure, un prodotto che racchiude in sé la storia e le tradizioni di questa regione.
Per apprezzare veramente la focaccia genovese, bisogna assaggiarla nel suo territorio d’origine. Ogni fornaio a Genova e in Liguria ha la sua ricetta segreta, con piccole variazioni che fanno la differenza. C’è chi la preferisce più alta e morbida, chi più bassa e croccante. Alcune versioni prevedono l’aggiunta di cipolla o olive, ma i puristi sostengono che la vera focaccia debba essere semplice e nuda.
Se vi trovate in Liguria, non perdete l’occasione di assaggiare questa specialità nelle storiche focaccerie di Genova, come Focaccia e Dintorni nel centro storico o il Forno Maggiolo a Boccadasse. Ma ricordate: non chiedete una pizza bianca, ordinate una focaccia e preparatevi a un’esperienza di gusto autentica e indimenticabile.
In conclusione, la prossima volta che vi troverete davanti a una vera focaccia genovese, ricordate che state per assaggiare un pezzo di storia gastronomica italiana. Non è una pizza bianca, non è un semplice pane condito. È la focaccia genovese, un prodotto unico che merita di essere conosciuto, apprezzato e, soprattutto, chiamato con il suo vero nome.